TFR
E IL SISTEMA PENSIONE
una storia che viene da lontano ...
sul TFR da una parte i
Sindacati Confederali e dall’altra la Confindustria.
I sindacati non ci stanno a perdere l’esclusività
dell’affare per dividerla con potenti privati
come banche ed assicurazioni... poi tutti insieme si dividono la torta ...
La Confindustria
non ci sta a far perdere anche solo un centesimo di
quell’enorme capitale (13 miliardi di euro ogni
anno) alle società che ormai da sempre lo portano
al bilancio e materialmente lo investono nelle loro
attività: si tratta di una consolidata forma
di finanziamento che sarebbe sostituibile solo in cambio
di qualcosa più redditizio.
Interessi
opposti ma comuni nel desiderio del trarre profitto.
Tutti i protagonisti della vicenda, però, hanno
perso di vista il diritto dei lavoratori di mantenere
un’affidabile e sicura risorsa economica a fine
impiego.
Il TFR
è salario differito del lavoratore e deve rimanere
nella sua piena disponibilità.
Il TFR
non può essere scippato con il meccanismo del
silenzio assenso per operazioni di carattere politico
finanziario che nulla hanno a che fare con l’esigenza
di garantire la pensione. L’eventuale adesione
a forme di previdenza integrativa deve avvenire con
una formale decisione da parte del lavoratore.
La RdB-Cub
è favorevole alla possibilità che il lavoratore,
su base volontaria, decida di assegnare all’Inps
la gestione del TFR, ovviamente l’Inps deve assicurare
al lavoratore gli attuali criteri di rivalutazione e
di utilizzo del TFR.
Parliamo
di Inps e non di una qualsiasi società di gestione
fondi che non potrà mai garantire la certezza
della rivalutazione figuriamoci il fatto di non fallire
come già è avvenuto in Italia e all’estero.
La RdB-Cub chiede, da tempo, l’avvio di un percorso
legislativo e di confronto con le parti sociali per
il rilancio della previdenza pubblica.
La previdenza
pubblica è una conquista sociale che dobbiamo
difendere con i denti stretti, va incentivata e migliorata,
giammai dismessa a favore di gruppi economici a cui
interessa solo il profitto e non il benessere e la sostenibilità
economica degli individui.
Oggi
la pensione pubblica di un numero crescente di lavoratori
è largamente inadeguata e il sistema che sta
andando a regime è sia economicamente che socialmente
insostenibile.
Nel
2020, quando inizieranno a ritirarsi coloro che avevano
meno di 18 anni di contributi nel 1995, i lavoratori
si troveranno con pensioni da fame e la situazione sarà
sempre più drammatica man mano che il nuovo sistema
di calcolo agirà su tutta la vita contributiva.
Il sistema
retributivo è stata la conquista sociale che
ha portato l’Italia ad essere protagonista tra
i paesi più industrializzati del mondo.
La pensione
calcolata non in base a quanti contributi si è
versato (sistema retributivo) è un premio di
distribuzione di ricchezza che un lavoratore determina
con il suo impegno lavorativo di una vita.
La produttività
del sistema paese in “35 anni di contributi”
aumenta oltre un fattore 10.
Questa
ricchezza se retribuita al lavoratore che va in pensione
si trasforma in consumi che a sua volta creano occupazione
e nuova ricchezza.
L’introduzione
del sistema “contributivo”, dal Governo
Amato del 92’ al Governo Dini del 95’, ha
annullato decenni di saggia programmazione del lavoro
e della previdenza, ha buttato al vento conquiste sindacali
e la speranza di una crescita economica positiva e condivisa
con tutti i lavoratori dipendenti.
E’
infatti evidente che se il reddito degli stessi lavoratori
dipende in parte dalla spesa degli anziani, con la cancellazione
di questa spesa si cancella quel reddito e ciò
vale ancor di più per i redditi futuri.
Bisogna
riflettere ed analizzare questo fenomeno perché
determinerà il modello di società in cui
vivremo nel nostro prossimo futuro. Bisogna ricorrere
ai ripari per non farsi travolgere: la ricchezza di
pochi, seppure legittima se onesta e meritata, non può
minare la sostenibilità di un’intera società.
Dicendo che non si sarebbero potute pagare le pensioni
si è trovata la soluzione introducendo il sistema
“contributivo” che di fatto le ridimensiona.
E se
poi le pensioni basse affameranno i pensionati ? Oggi
in tanti e anche economisti di fama mondiale, se lo
chiedono.
“Occorre
prevedere una pensione integrativa”: questo è
il vero progetto nascosto. Hanno creato prima il problema
(pensioni basse) per poi proporre la panacea risolutiva:
un sistema “necessario” di integrazione.
Gli stipendi
sono bassi?
Come
si fa a pagare una pensione integrativa?
La risposta a queste domande trova nella sua banalità
un’atroce conferma: “TFR”. Investendo
il proprio TFR si paga la pensione integrativa, peccato
che poi nel frattempo la famosa “liquidazione”
sarà scomparsa. Il TFR dei lavoratori diventa
un business da 18 miliardi di euro ogni anno (se contiamo
anche il pubblico impiego).
Il Governo
attuale non fa che portare a compimento una riforma,
quella del sistema pensione, cominciata nella prima
parte degli anni 90’.
Altro
che bipolarismo, sul lavoro e sulla previdenza il filo
comune lega trasversalmente l’interesse economico
che quando riguarda milioni di persone diventa terribilmente
vorace e senza scrupoli. Ironia delle riforme che dovrebbero
apportare misure anche con l’obiettivo di ridurre
la spesa pubblica, questa riforma ha bisogno di stanziamenti
affinché le aziende siano interessate a mollare
il TFR dei loro dipendenti.
Strano
paese il nostro, quando la barca fa acqua si propone
di fare qualche buco in più nello scafo. Il bello
è che c’è sempre qualche piccola
(leggi banca o assicurazione) o grande (leggi Sindacato)
associazione che ci guadagna.
La RdB-CUB
non solo è totalmente contraria al decreto sul
TFR ma non ha mai condiviso tutti gli interventi legislativi
che in questi ultimi anni hanno fortemente stravolto
la previdenza pubblica con il risultato di costringere
milioni di pensionati (in essere e futuri) a condizioni
di vita sotto la soglia della povertà.
Infatti gli interventi già messi in atto, da
Amato a Prodi, senza ancora gli effetti del calcolo
contributivo, hanno fortemente penalizzato i lavoratori:
hanno consentito di risparmiare centinaia di miliardi
sottraendoli a chi ne aveva diritto (addirittura superando
di undici miliardi il preventivato), hanno spostato
in avanti l’età della pensione, hanno ridotto
le dinamiche delle pensioni in essere.
Le pensioni future saranno inadeguate perché
si è allungato il periodo di riferimento per
il calcolo retributivo e successivamente con il passaggio
al sistema contributivo la situazione peggiorerà
in modo impressionante.
La previdenza integrativa realizzata con lo scippo del
TFR non è una soluzione percorribile perché
è iniqua, costosa e rischiosa, quindi ad essa
non può essere assegnata la funzione di garantire
il diritto per tutti ad una pensione dignitosa.
- Iniqua perché la pensione integrativa è
fuori dalla logica di un sistema universalistico della
previdenza. Alcuni se la potranno permettere, altri,
la stragrande maggioranza dei lavoratori dovranno accontentarsi
solo di quella pubblica fortemente ridimensionata.
- Costosa per i lavoratori e la collettività
perché con i fondi pensione cambia radicalmente
il rapporto tra contributi previdenziali attualmente
a carico delle imprese 73,0% e dei lavoratori 27,0%.
Con i fondi pensione il contributo a carico del lavoratore
sale intorno al 87% e si riduce al 13% la parte a carico
dell’impresa.
Mette
a carico della collettività il costo della compensazione
alle aziende per lo smobilizzo del TFR e il costo delle
facilitazioni fiscali.
- Rischiosa perché si trasferirà sui redditi
da pensione l’instabilità dei sistemi finanziari
mondiali con il riproporsi del rischio di fallimento
in cui sono storicamente incorsi i fondi pensione di
natura privata o semiprivata in occasione di crisi inflattive
o crolli borsistici o di guerre.
Essendo legata agli andamenti imprevedibili del mercato
finanziario, la pensione integrativa sposta tutto il
rischio sul lavoratore: solo lui ci rimette, mentre
gestori dei fondi, banche, assicurazioni e addirittura
i “sindacati confederali” non corrono nessun
rischio ma guadagnano con la gestione delle risorse.
Per imporre la riduzione dei trattamenti previdenziali
pubblici si è “barato” sulla situazione
dei costi della previdenza pubblica pur sapendo che:
La spesa pensionistica (compresa la copertura TFR in
caso di fallimento dell’azienda che vale 1,5%
sul Pil) rappresenta il 12,6% del Pil
Due punti percentuali di tale spesa non vengono neanche
visti dai pensionati in quanto diventano entrate dello
stato per effetto del prelievo fiscale. Prelievo fiscale
che negli altri paesi non esiste o è molto ridotto.
Sulla spesa pensionistica gravano oneri, ancora oggi,
di natura assistenziale e di ammortizzazione sociale
non a carico dalla fiscalità generale.
La precarizzazione dei rapporti di lavoro consente alle
imprese di sostituire i lavoratori a contribuzione piena
con lavoratori a contribuzione ridotta.
Si è continuato ad ampliare la quota di salario
esente dalla contribuzione pensionistica con oscena
cecità di previsione economica.
USB ritiene che è al sistema pensionistico
pubblico che deve essere riassegnata la funzione di
assicurare a ciascun lavoratore il mantenimento dello
stesso tenore di vita anche dopo il pensionamento oltre
che la funzione assistenziale volta ad assicurare
a tutti gli anziani un reddito minimo.
IL RILANCIO DELLA PREVIDENZA PUBBLICA : PROPOSTE
1) Ripristino del calcolo retributivo per tutti per
garantire continuità dei trattamenti salariali
in godimento all’atto del pensionamento e ripristinare
la solidarietà intergenerazionale.
2) Aumento delle pensioni in essere per garantire il
diritto ad una vita dignitosa a tutti
3) Aggancio delle pensioni all’andamento reale
dei prezzi e alla dinamica salariale.
4) Il mantenimento delle pensioni di anzianità
e il rafforzamento delle misure a sostegno dei lavoratori
precoci, dei lavori usuranti e dei lavoratori esposti
all’amianto.
5) Aumento e graduale parificazione dei contributi previdenziali
per i lavoratori a progetto, soci lavoratori, artigiani
e autonomi a quelli del lavoro dipendente.
6) Copertura contributiva adeguata per tutti, anche
nei periodi di precariato.
7) Esentare le pensioni dalle trattenute fiscali a partire
dalle fasce di reddito meno elevate.
8) Rendere effettiva la separazione tra assistenza e
previdenza ponendo fine ad un usoimproprio dei contributi
previdenziali versati dai lavoratori dipendenti.
9) Attuare concretamente la lotta all’elusione
e all’evasione contributiva rafforzando gli organici dei ruoli ispettivi.
10) Nuovo modello di finanziamento della “previdenza
pubblica” basato anche sulla ricchezza che creato
dall’intero sistema.
guarda chi cambia il mondo
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